influenze delle Scuole Tenshin-shin'yo Ryu e Kito Ryu

In quasi tutte le discipline orientali tratte dall’esperienza guerriera dei secoli passati sono presenti degli esercizi formali - detti Kata - che assolvono molteplici funzioni. Il Kata è normalmente inteso come un modello di riferimento il più possibile immutabile nel tempo, oppure soggetto a modifiche da parte unicamente di grandi esperti della disciplina e solamente a seguito di ponderati e ben giustificati motivi (per quanto riguarda l’Aikido i Kata hanno una rilevanza minore rispetto ad altre discipline, ed in particolare questo riguarda tipicamente solamente la parte armata).

Usualmente ci si trova di fronte a tre tipologie diverse di Discipline marziali:

1 - Discipline la cui pratica è esclusivamente basata sui Kata:

esempio il Taiji-Quan; l’intera pratica è Kata poiché manca un esercizio creativo in cui il praticante possa liberamente trasportare ciò che ha appreso nell’esercizio della forma, questo in quanto l’aspetto principale della disciplina si basa su sviluppi interiori e non su fatti esteriori ed il Kata meglio si presta ad entrare in sintonia con se stessi ed a recepire il messaggio della disciplina. 

2 - Discipline con numerosissimi Kata ed eseguiti senza l’ausilio di un compagno, mentre la pratica libera è in genere eseguita in coppia o con più avversari:

esempio il Karate; vengono usati numerosi esercizi formali per far apprendere al praticante dei gesti che dovrà poi riportare nella pratica di coppia la relativa ”applicazione”, cioè la ripetizione dei gesti imparati nel Kata.

3 - Discipline che integrano la pratica libera, in genere eseguita in coppia, con degli esercizi formali, sempre eseguiti in coppia:

esempio Judo, Kenjutsu, Kendo; il numero di Kata è limitato e non hanno come scopo principale quello di insegnare dei gesti da ripetere tali e quali nella pratica libera.

In tali casi i Kata sono stati da sempre concepiti allo scopo di: 

  • tramandare il principio di un’azione (o più azioni concatenate tra loro) sotto l’aspetto biomeccanico, meccanico, fisico, strategico, tattico e della loro relativa esecuzione;
  • permettere l’analisi degli stati mentali durante le varie fasi dell’azione, con riferimenti sia alla respirazione sia alla gestione ed all’impiego del Ki;
  • tramandare l’origine di azioni che sono state in seguito trasformate dalle esigenze della pratica;
  • tramandare gli aspetti reconditi della Disciplina che oltrepassano la mera esecuzione tecnica e che attingono alle radici filosofiche primarie alla base della Disciplina fisica 

Nell’esecuzione formale di un Kata lo studio di ciò che è racchiuso al suo interno servirà al praticante per poterne estrapolare i principi ed approfondirli riproducendoli pertanto attraverso dei movimenti essenziali; non saranno pertanto importanti gli aspetti intesi dal punto di vista

meramente tecnico, ma bensì come espressione di un principio - i Kata divengono quindi nelle nostre mani una matrice. Questo eliminerebbe ogni dubbio su quale sia il gesto esteriore più corretto in una qualsivoglia tecnica di qualsivoglia Kata: il gesto più corretto sarà comunque sempre quello che si rifarà ai principi che una determinata Forma vuole esprimere.... purché esso sia corretto, coerente e conforme ai suddetti principi. 

Per meglio cercare di comprendere il significato dalla nostra pratica marziale analizzeremo brevemente gli studi di Jijutsu che hanno influenzato il lavoro dei Maestri Morihei Ueshiba e Jigoro Kano, e quali fossero gli insegnamenti che queste Scuole affidavano ai Kata.

Il M° Ueshiba ed il M° Kano studiarono entrambi in due celebri Scuole di Jujutsu: la Tenshin-shin’yo Ryu e la Kito Ryu; 

Tenshin-shin’yo Ryu: 

OSensei si iscrisse in questa Scuola nel 1868 all'età di quindici anni sotto la guida del M° Tokusaburo Tobari, il M° Kano nel 1877 sotto gli insegnamenti del M° Hachinosuke Fukuda.

Questa Scuola riuniva in sé gli insegnamenti di altre due celebri Scuole di Jujutsu: la Yoshin Ryu e la Shin-no-Shindo Ryu, ed era famosa per l’approfondimento a cui aveva portato lo studio degli attacchi ai punti vitali (atemi waza), quello dei metodi di immobilizzazione (torae waza) e quello dei metodi di strangolamento (shime waza), e considerava lo studio della propria energia interiore ed il suo utilizzo come prioritari nello studio dalle tecniche.

Il M° Kano inserirà in particolare due Kata della Tenshin-shin’yo Ryu nel suo metodo Judo-Kodokan: il Katame-no-kata ed il Kime-no-kata che, non a caso, trattano i metodi di controllo ed i modi per colpire. 

Analizzare “Kime “ necessita un chiarimento sui tre termini Ki, Kiai, Kime.

Ki è l’energia interiore la cui gestione è alla base della pratica delle arti marziali correttamente intese.

Kime è il Ki finalizzato all’azione ovvero l’espressione dell’energia interiore in un’azione, concentrando tutte le proprie energie in un movimento “come se non vi fosse domani”, senza pensare a nulla, né al passato né al futuro (Issha Zetsu Mei – tutta la vita in un colpo solo); Kime si potrebbe quindi definire come “estrema decisione”.

Kiai è l’espressione esteriore del Ki in un’azione eseguita con Kime; è un grido che nasce da una contrazione addominale (dalla sede del Ki) dovuta all’abbassamento del diaframma; è un grido che in relazione alle circostanze assume un significato leggermente differente: si parla infatti del Kiai prima, durante o dopo un’azione. Il Kiai prima di un’azione può servire sia per “caricare” il proprio Ki sia per “premere” contro il Ki di un avversario; durante l’azione (ovvero in concomitanza con il gesto) è probabilmente più autentico ed è l’espressione del Ki che si manifesta con Kime il quale si scarica durante l’azione improvvisa non dettata dalla mente ma dal corpo.

Il Kiai dopo l’azione è più raro e la sua chiara funzione n questo caso è quella di scaricare l’energia ancora presente nel corpo dopo l’esecuzione dell’azione. 

Kito Ryu: 

Ueshiba si iscrisse in questa Scuola all'età di diciannove anni sotto la guida del M° Tokusaburo Tozawa, mentre il M.° Kano entrò nella Scuola nel 1881 sotto la guida del M° Tsunetoshi Iikubo.

Questa Scuola era di larvata impronta militare mentre la Tenshin-shin’yo era prettamente civile (lo stesso Iikubo apparteneva alla classe dei samurai); questa Scuola, a differenza della precedente, aveva i suoi punti di forza nelle tecniche di proiezione.

La Kito Ryu vantava antiche origini ed elementi esoterici nel suo insegnamento; alcuni documenti ricollegano questa Scuola agli insegnamenti portati in Giappone da un dignitario cinese di nome Chen Yuan Pin nel 1683, ed approfonditi da tre samurai nel monastero di Kokusei,; altri documenti (fra i quali quello di Sakuraba Takeshi, allievo del M° Kano) fanno risalire la Kito Ryu ad un certo Terada, samurai al servizio di un daimyo legato ai Tokugawa, il quale avrebbe appreso gli insegnamenti del M° Chen Yuan Pin (o Chging Gen Pin) da un allievo diretto di questi.

Ad ogni modo la Scuola Kito (Ki/To richiamano luce/ombra, attivo/passivo in/yo, ovvero due polarità opposte) era giunta ad una notevole fluidità nell’applicazione tecnica avendo approfondito i principi di azione collegati alla condizione interiore; qualsiasi sia l’esatta origine delle Scuola è indubbio che abbia ereditato l’esperienza cinese nel modo di concepire il combattimento.

L’energia vitale che nella Tenshin-shin’yo Ryu si estrinsecava nell’azione, dopo essere stata precedentemente appresa ed allenata, nella Kito Ryu si sprigionava nell’azione e solo dopo poteva essere oggetto di studio; se riflettiamo sulle origini di queste due Scuole (l’una di carattere civile e l’altra invece militare) ne comprendiamo i motivi: mentre infatti un civile doveva allenare prima la condizione interiore per poter essere pronto a fronteggiare un’azione oppure un’aggressione con la giusta tecnica senza farsi travolgere dall’emotività, un militare doveva prima agire e poi, dall’esperienza dell’azione, trarre anche gli insegnamenti interiori necessari per preparare sé e gli altri a future azioni.

La Scuola di Kito aveva assimilato nell’azione di nage-waza il principio “ju”, ovvero quello della ”cedevolezza” intesa come “adattabilità”; la necessità cioè di adattarsi alle circostanze (un attacco da parte di un avversario) portando al massimo livello lo sfruttamento a proprio vantaggio dell’energia contenuta nell’attacco altrui; l’antico precetto cinese “La forza sta nel cedere” veniva trasfuso nella Kito Ryu dall’esperienza del combattimento.

Il metodo della Kito si basava sulla pratica di “ran” (letteralmente “libertà d’azione” – da cui poi il termine judoistico “ran-dori”, ovvero pratica libera con le prese) e sull’impianto teorico della dottrina cinese di yin e yang (“in” e “yo” in giapponese), ovvero all’interazione nella pratica di due momenti, uno attivo (elemento Yang) ed uno passivo (elemento Yin).

Il nome stesso della Scuola è infatti espressione di questo antico principio: “Ki” che significa “innalzarsi” si ricollega a yang che implica la luce; “To” che significa “cadere” equivale a yin, elemento negativo che implica l’ombra. 

Il Kata della Kito Ryu detto Kito-ryu-no-kata in cui venivano espressi e tramandati i principi della Scuola interessò enormemente sia Morihei Ueshiba (che lo approfondì con il M° Tokusaburo Tozawa), sia il giovane Kano (che lo apprese dal M° Tsunetoshi Iikubo).

Ueshiba e Kano giungeranno poi a conclusioni apparentemente opposte: Kano inserirà nel suo metodo Judo-Kodokan il Kito ryu-no-kata (di cui fa parte il Koshiki-no-kata) riprendendolo tale e quale come la tradizione della Scuola lo tramandava, Ueshiba deciderà invece - unico nel suo genere nel panorama delle Arti Marziali - di creare un Metodo che trascende dai Kata. 

La Kito Ryu insegna fondamentalmente le stesse tecniche e concetti che si trovano nel Daito Ryu, ma con un’enfasi ed una terminologia leggermente diversa; molte tecniche erano state infatti progettate per un combattimento ed un impiego con armatura quindi, senza la protezione e l’impaccio offerta da tale copertura, si era resa necessaria una modifica nei movimenti.

Kito può anche stare a significare salire e scendere: il sorgere, sinonimo di yo (yang) e la caduta, vista come in (yin); era questa la miscela tra la forza e la flessibilità. La Kito Ryu ha focalizzato l'accento del proprio studio sul Ki (che nonostante la giovane età Ueshiba ha apprezzato e capito), insegnando che quando il nemico mostra la forza lo sconfiggi con elasticità, quando il nemico ti affronta con morbidezza lo sconfiggi con la forza; mai però fare affidamento unicamente sulla forza, piuttosto scartarla per armonizzare il movimento con lo spirito universale (Ki); così facendo il Ki permette di superare un nemico rovesciando la  sua stessa forza contro di lui.

Kito è per molti versi la stessa aiki: una miscela perfetta di armonia tra i principi attivi e passivi dell'universo.

Uno dei principi fondamentali del vecchio sistema della Kito Ryu è quindi tutto ciò che sta alla base della pratica dell’aikido. 

La successione didattica nello studio delle tecniche 

Con la pratica chiamata Go-no-Geiko (pratica con la quale Uke e Tori imparano a gestire la struttura ossea e, conseguentemente, di come i loro movimenti interagiscono e si scaricano su di essa - Go vuole infatti anche dire “duro/terra” e le ossa sono la parte “solida” dell’essere umano) Tori ed Uke prendono confidenza con le gestualità, i movimenti, e l’atteggiamento mentale corretti da assumere.

Essi dovranno concentrare l’attenzione sulla correttezza dei loro movimenti e sulla loro posizione, Tori dovrà essere sempre stabile e forte senza perdere in nessuna fase del movimento lo squilibrio ed il controllo esercitato su Uke mentre quest’ultimo dovrà “sentire” i movimenti di Tori assorbendo la tecnica nel modo migliore possibile (sopratutto dal punto di vista bio-meccanico); fra i praticanti non dovrà mai calare il grado di attenzione.

Questo tipo di pratica permetterà altresì di potersi concentrare sulla parte respiratoria e di potersene impadronire per poi poterla applicare, perfezionandola, nella parte di Ju-no-Geiko. 

Nella fase di studio chiamata Ju-no-Geiko (pratica flessibile, cedevole, scaricata ora fluidamente anche attraverso la parte “morbida” dell’essere umano: muscoli, legamenti, nervi,…) viene posto un elemento di maggiore difficoltà rappresentato da un attacco in movimento il quale porterà necessariamente ad una maggiore attenzione ed ad un approfondimento allo studio del tempo di reazione ed a tutti i fattori ad esso connessi.

In questa fase sarà importante lo studio del ritmo respiratorio idoneo all’azione: espirare quando si è in fase di attacco e difensiva ed inspirare nelle pause (durante la fase inspiratoria si è infatti vulnerabili); tori si adatterà all’azione permettendo all’energia di Uke di manifestarsi, incanalandola e successivamente controllandola; l’energia di Uke ha inizio ma non se percepisce la fine poiché quella di Tori vi si sovrappone, simbolicamente la fine dell’energia di un fenomeno (ad esempio la luce del giorno) è contemporaneo all’inizio di un altro (l’ombra della sera) ma l’inizio dell’uno si confonde con la fine dell’altro.