Wabi - Sabi - Jugen

Questi tre principi estetici esprimono, inseriti all'interno del Budo, l’ideale rappresentazione di come dovrebbe essere caratterizzata una tecnica marziale. Wabi-sabi (in Kanji: 侘 寂) costituiscono una visione estetica del mondo giapponese (talvolta descritta come quella della bellezza imperfetta, impermanente e incompleta). L'espressione è composta dalle due parole Wabi e Sabi, le quali sono la più evidente e particolare caratteristica di ciò che consideriamo come tradizionale bellezza giapponese, ed occupa all'incirca lo stesso posto dei valori estetici, come accade per gli ideali di bellezza e perfezione, dell'Antica Grecia in Occidente.

Le parole Wabi e Sabi non si traducono facilmente. Wabi si riferiva originariamente alla solitudine della vita nella natura, lontana dalla società; Sabi significava "freddo", "povero" o "appassito". Verso il 14esimo secolo questi significati iniziarono però a mutare assumendo connotazioni più positive.

Wabi: identifica oggi la semplicità, la freschezza o il silenzio, può essere applicata sia ad oggetti naturali che artificiali, anche all'eleganza non ostentata. Può anche riferirsi a stranezze o difetti generatisi nel processo di costruzione, che aggiungono unicità ed eleganza all'oggetto. 

Sabi: è la bellezza genuina, l’eleganza della naturalezza rustica o la serenità che accompagna l'avanzare dell'età, quando la vita degli oggetti e la sua impermanenza sono evidenziati dalla patina e dall'usura del tempo o da eventuali visibili riparazioni. 

Un modello facilmente comprensibile può essere rappresentato, ad esempio, osservando dal punto di vista costruttivo ed architettonico una baita di montagna:

è Wabi – semplice – in quanto la sua struttura non ha “barocchismi”, travi e pietre compongono la sua struttura primaria, essenziale e sobria nei suoi aspetti architettonici, seppur efficiente e solida.

è Sabi – naturale – in quanto il legno delle travi sarà ad esempio fessurato dal tempo, magari con i segni dell’attacco delle termiti, le pietre saranno irregolari e potranno essere incrinate e rovinate a causa dall’azione degli agenti atmosferici; magari quelle rivolte a Nord saranno ricoperte da una leggera patina di muschio. Associando e comparando le descrizioni ed esempi precedentemente esposti con una tecnica marziale, questa la si dovrebbe quindi osservare come:

Wabi – in quanto si noterà eseguita con semplicità (da non confondersi con facilità), rispetto delle leggi naturali della fisica e del corpo umano;

Sabi – in quanto si noterà in essa una naturalezza, autenticità e disinvoltura derivata dalla lunga pratica e dall’esperienza. 

Yugen: maturità, pienezza, tranquillità ed eleganza di un risultato conseguito serenamente.

Secondo il poeta Teika (o Fujiwara Sadaie 1162 – 1241) l’interpretazione che dà dello Yugen include idee quali “suggestività”, “incanto” e “quiete dinamica”, esprimendo il cuore e l’anima dell’uomo. L’essenza risiede nella bellezza e nella cortesia, nella tranquillità e nell’eleganza di un risultato conseguito serenamente; lo Yugen può essere compreso dalla mente ma non espresso a parole in quanto la sua essenza si trova in quel “qualcosa” di inesprimibile, ma può essere percepito come ciò che denota il regno più elevato dell’espressione artistica. In quanto concetto applicato al Budo classico lo Yugen si riferisce alle capacità che un allievo acquisisce per mezzo dell’esperienza diretta dopo avere penetrato le profondità della disciplina marziale dal punto di vista tecnico e spirituale, al contempo compiendo una trasformazione interiore. Lo Yugen è evidente nella tecnica di un Maestro che abbia raggiunto elevati livelli marziali e spirituali che è in grado di esprimere nella propria tecnica con il suo gioco di azione e non-azione (Sei To Do), giacché questo rivela la forza del Maestro stesso; si può dire pertanto che lo Yugen è connesso con la potenza dell’espressione.

Nel quadro del Budo classico lo Yugen presuppone un equilibrio degli aspetti visuali (ed uditivi) della tecnica, rivelando così la relazione di questo concetto di ideale estetico con il Budo classico.

La rappresentazione marziale dei tre concetti considerati può essere anche evidenziata dai “livelli simbolici” che identificano le tre serie costituenti la Scuola di Iaido Muso Shinden Ryu:

 - la prima serie Omori simboleggiata dal termine Kan – So, ovvero “semplicità” (sempre da con confondersi con l’idea di “facilità”);

- la seconda serie Haswgawa simboleggiata dal termine Yu – Gai, ovvero “eleganza”;

- la terza serie Okuden simboleggiata dal termine Shin – Ryoku, ovvero “potenza” (Ryo: potenza – Ku:10.000, il quale identifica nella cultura giapponese il senso di infinito; quindi “potenza infinita”).

Associando ora le sopra esposte simbologie potremo identificarne facilmente le corrispondenze:

Wabi    -  Kan So

Sabi     -  Ju Gai

Yugen -   Shin Ryoku

 

da destra verso sinistra:

Kan So - Ju Gai - Shin Ryoku


Calligrafia di Pascal Krieger (Soraga 2013)