Etichetta

Breve storia

L’inchino come forma di ossequio e più tardi di saluto è presente in numerose culture, in quelle asiatiche è universalmente diffuso assumendo una caratterizzazione formale durante il Periodo Muromachi – quella lunga epoca della storia giapponese che vide l’ascesa al governo della classe militare attraverso un succedersi di Shogun appartenenti alla famiglia Ashikaga, la quale governò la nazione dal 1338 al 1573. La famiglia Ogasawara discende dalla linea dei Minamoto; il primo Minamoto era il principe Tsunemoto, nipote dell’imperatore Seiwa ed ottimo arciere e cavaliere. Uno dei più degni rappresentanti della famiglia Minamoto fu Tsunemoto no Yoshiie sotto la cui guida il potere della famiglia aumentò notevolmente; suo fratello, Minamoto no Yoshimitsu, fu il capostipite della famiglia Ogasawara. Il pronipote di Yoshimitsu – Tomitsu – era molto qualificato sia nelle arti letterarie sia militari; grazie al suo coraggio durante la repressione del clan Taira ottenne peraltro una rilevante posizione sociale ed ebbe inoltre modo di distinguersi durante il regno dell’imperatore Takakura; il figlio di lui – Nagakiyo – fu il primo ad essere chiamato Ogasawara, dal nome del suo paese natale in provincia di Kai (oggi prefettura di Yamanashi). La reputazione Ogasawara per l'eccellenza nel tiro con l'arco e l’equitazione era a questo punto già ben consolidata come dimostra un antico documento della famiglia: "Dopo Nagakiyo divenne noto come Ogasawara, l'abilità della famiglia nelle arti militari divenne sempre più celebrata"

Nagakiyo servì Yoritomo Minamoto come maestro di tiro con l'arco ed equitazione aumentando ulteriormente la notorietà del Ryu;  tuttavia egli non insegnava etichetta, in quanto al culmine del periodo Kamakura quest’ultima non si manifestava tra i bisogni più pressanti della classe guerriera. Fu Ogasawara Sadamune (1294 – 1350) che reintrodusse l’etichetta assieme alle arti del tiro con l'arco e dell’equitazione, venendo per questo considerato il restauratore della scuola Ogasawara; è dal suo insegnamento che discende il Ryu come lo conosciamo noi oggi. Sadamune servì l'Imperatore Godaigo nel periodo compreso tra il crollo dello shogunato Kamakura e l'istituzione dello shogunato Muromachi, successivamente congiunse le forze dello shogun Muromachi – Ashikaga Takauji (il primo degli shogun Ashikaga) servendo come maestro di etichetta. Il suo aiuto fu fondamentale nell’insediare sul trono imperiale un cugino dello Shogun – Kougon – per questa ragione Takauji, grato per i servigi resi e probabilmente ben consapevole dei talenti di Sadamune, lo investì del grado ufficiale di responsabile del protocollo d’etichetta in uso tra i ranghi dei servitori dello shogun. Gli Ogasawara continuarono a servire gli Ashikaga di generazione in generazione insegnando non solamente equitazione e tiro con l'arco ma anche riti nuziali e diversi cerimoniali di etichetta. Un pronipote di Sadamune che ricoprì il medesimo incarico – Ogasawara Nagahide (1336 – 1424) elaborò attorno al 1380 il primo testo esauriente sull’etichetta: il Sangi Itto (“tre arti in una”), le tre arti erano l’etichetta (della quale l’etica era considerata un aspetto), la cavalleria ed il tiro con l’arco; il volume fu scritto per volere del terzo degli shogun Ashikaga – Yoshimitsu – il quale deplorava il deterioramento degli antichi costumi di corte. Durante il periodo degli Stati Combattenti gli Ogasawara furono incaricati di proteggere la provincia di Shinano (oggi Prefettura di Nagano); combattendo più volte contro Takeda Shingen perdettero il loro territorio alla fine però riconquistato sotto la bandiera di Tokugawa Ieyasu; è durante questo periodo che il capo famiglia – Sadayoshi – tramanda "i Sette Volumi dell’Etichetta Ogasawara" al suo erede Hidemasa. Questi volumi offrono una spiegazione autentica sulla grazia disadorna dell’educazione della classe guerriera.

Quando nell'estate del 1615 scoppiò la battaglia di Osaka Hidemasa ed il suo erede – Tadanaga – scesero in campo a sostegno dei Tokugawa morendovi eroicamente, grazie alla loro fedeltà gli Ogasawara furono nominati famiglia regnante della Provincia di Akashi – Harima (ora Prefettura occidentale di Hyogo), un feudo con un rendimento annuo di 110.000 koku di riso (*).

 *(un koku di riso (giapponese: 石) è la quantità di riso definita storicamente come quella sufficiente a nutrire una persona per un anno – pari a 180,39 litri ed a circa 150 chilogrammi).

Successivamente vennero nominati governanti delle Province di Kokura – Buzen (ora nord-est e nord Fukuoka, Oita), un feudo con una resa di 150.000 koku di riso. Durante il Periodo Edo gli Ogasawara istruirono l’elite dello shogunato nei sottili scambi di etichetta mediante un esauriente codice: in esso infatti venivano spiegati i rituali per eventi annuali, la disposizione dei mobili, come modificare e piegare i vestiti, come scrivere correttamente la corrispondenza, come mangiare in modo corretto, come incartare i regali, e molto altro ancora. Gli Ogasawara non erano però solamente famosi per la loro conoscenza dell’etichetta e delle buone maniere ma anche come famiglia di samurai; erano infatti profondamente rispettati come guerrieri ed ammirati per la loro abilità nel maneggio dell’arco e del cavalcare in battaglia in modo tale da rendere il cavallo, oltre che un mezzo di trasporto, anche un’arma; l’etichetta non era semplice affettazione bensì un mezzo con cui il samurai poteva muoversi in sicurezza tra gli uomini d’arme segnalando al contempo la sua mancanza d’intenzioni ostili nei confronti di chi gli stava accanto. Significativamente era tradizione della famiglia Ogasawara, come del Ryu da essa fondato, che tutte le tre arti dovessero essere pienamente padroneggiate e rappresentate dal singolo erede designato come responsabile del Ryu medesimo, mostrare infatti una raffinata etichetta non accompagnatela da un’adeguata abilità marziale non sarebbe stato altro che vuota pomposità mentre l’opposto sarebbe stato considerato un comportamento da barbari. Negli anni Sessanta un discendente di Sadamune ha rivendicato la successione del solo terzo del Ryu relativo all’etichetta; ciò ha costituito un evento sconvolgente nella storia della Scuola con grandi ripercussioni nel mondo del Giappone tradizionale e, poiché la questione non ha trovato mai una soluzione compiuta, molti di coloro che hanno a che fare con tali discipline continuano ad accettare come capo del Ryu solamente colui che padroneggia tutte e tre le specialità.

Nella famiglia Ogasawara tiro con l'arco, equitazione e buone maniere sono raggruppati sotto il termine denominato Kyuho. Secondo i documenti della famiglia Kyuho parla di "buone maniere in tempi di pace e di strategia campale in tempo di guerra" comprendendo così tutte le pratiche essenziali per l’antica classe guerriera inoltre, come descritto nella Itto Sangi, Kyuho può essere inteso come un atteggiamento mentale dedicato alla propagazione della legge; il termine è anche descritto in altre sezioni del Itto Sangi come rispetto della legge, acquisizione della legge, dispensazione della legge ed infine salvaguardia del popolo e prosperità; Kyuho comprende infine tutti gli aspetti della civiltà così come le esigenze dell’animo della persona umana. 

Un documento Ogasawara descrive l'essenza dell’etichetta come segue: "Si deve scartare i propri pensieri ed ascoltare le opinioni degli altri, se buttate via la vostra idea iniziale la ragione vera verrà a voi istintivamente". L’etichetta è quindi, in sintesi, la considerazione per gli altri. Un altro documento di famiglia descrive ancora l’etichetta come la naturale armonia di corpo e mente, adattabili come l'acqua in conformità alla forma del vaso.

Probabilmente la scuola Ogasawara ha guadagnato questa sua immagine di rigore ed inflessibilità in quanto per la maggior parte della sua storia i più profondi segreti del Kyuho erano noti solamente a pochi eletti; i suoi misteri più intimi infatti non erano permessi "fuori casa" ma erano solamente dote del capo famiglia, del suo erede e dello shogun. Intorno al periodo di Tsunayoshi (1646-1709) con il quinto shogun Tokugawa avvenne una profonda trasformazione sociale: la classe guerriera stava diventando sempre più dipendente dall’emergente classe mercantile, ed a causa di questo trasferimento economico del potere si rese necessaria l'adozione di uno standard di etichetta applicabile ad una società più ampia, la scuola Ogasawara fu così scelta come riferimento. Come la richiesta di insegnanti di etichetta aumentò furono molti quelli che si presentarono come "istruttori Ogasawara"; apparsi per rispondere alle nuove esigenze questi "esperti" non avevano una conoscenza autentica dei costumi del Ryu elaborando invece una "scuola Ogasawara" estremamente complicata, troppo concentrata sullo sfarzo e sul lusso e preoccupata principalmente di inezie; l’apertura al pubblico ebbe quindi effetti deleteri sul Ryu stesso e sull’intero concetto di etichetta in Giappone. Prima di allora le diverse modalità di inchino, un elemento fondamentale dell’etichetta del samurai, erano infatti considerate come attributi virili in quanto proprie del samurai; una volta introdotta al grande pubblico però l’etichetta del Ryu cominciò rapidamente ad essere vista come un’affettazione delle classi abbienti finché, nel momento in cui gli ideali occidentali d’egualitarismo ed individualismo sviluppatisi dai movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta dilaganti in Europa ed in America vennero introdotti e contagiarono il Giappone, le convenzioni dell’etichetta nella considerazione popolare scaddero ancora di più venendo alla fine considerate alla stregua d’una subdola forma di oppressione (l’esigente etichetta dei curriculum in molti corsi di scuole femminili contribuirono ulteriormente a danneggiarne l'immagine). Anche coloro che potevano avere un’inclinazione conservatrice e che privilegiavano sopra ogni cosa educazione e le buone maniere potevano trovare eccessive tutte le complessità dell’Ogasawara Ryu; secondo i precetti della Scuola ad esempio esistono nove modi diversi per inchinarsi dalla posizione di seiza. Le regole riguardanti il loro utilizzo non sono di particolare giovamento all’uomo medio, oltre a ciò l’abitudine di dire “Ogasawara Ryu” sottintende per molti giapponesi un significato negativo associandolo ad un rigido protocollo e ad artificiosi comportamenti di tipo feudale che, escludendo lo snobismo di classe, trovano poco spazio nel mondo moderno.

Nel Dojo le convenzioni relative all’inchino benché quasi interamente basate sulle norme dell’Ogasawara Ryu risultano fortunatamente semplici paragonate a quelle originali, ciò non sottintende però che esse siano facili e prima di riuscire a trasformarle in un’abitudine automatica i principianti debbono sforzarsi per tenere a mente un gran numero di particolari.

Come precedentemente osservato le forme di etichetta e di comportamento prendono spesso forma da una semplice e necessaria azione quotidiana: l’apertura e la chiusura del fusuma (partizione mobile composta da stoffa o da carta opaca tesa su un telaio di legno) ad esempio era una di queste (alcuni kata di iaido sono stati concepiti proprio per questa abituale situazione). La scuola Ogasawara di etichetta insegna un movimento diviso in tre fasi per la sua apertura: "In primo luogo sedere di fronte al fusuma, afferrare la maniglia della porta (vicino al pilastro) ed aprirlo quel tanto che basta far scivolare il palmo della mano nella fessura; successivamente, ponendo il palmo aperto, aprire di una trentina di centimetri dal piede della porta, aprire poi completamente la porta con la mano opposta ... " . In occidente le camere sono dotate di porte, molto spesso dotate peraltro di serratura, perciò qualunque cosa accada in una stanza non può essere vista o sentita in quella successiva; agli occhi degli occidentali pertanto questa tipologia di porte a schermo sottile, pur rispettando la differenza di costumi, viene di solito considerata come una mancanza di privacy e di sicurezza. L’americano Edward Morse (1838-1925) ha però trovato qualcosa di ammirevole sul fusuma. Osservatore di un Giappone all'inizio dell'era Meiji fece il seguente commento: "L'onestà dei giapponesi è dimostrata dal fatto che in una nazione di 30 milioni le case non hanno né serrature né viti e nemmeno una porta da bloccare. Fanno uso di porte schermate per chiudere la casa. Essi usano le porte schermate durante il giorno ma queste sono abbastanza deboli e un bambino di dieci anni può facilmente abbatterle". Il metodo delle tre fasi sopra descritto è stato progettato per mantenere questo clima di fiducia: aprendo la porta pochi centimetri viene inviato il segnale che la porta sarà aperta; aprendo la porta a metà strada si sarà in grado di valutare l'attività nella stanza accanto senza essere troppo invadenti ed intrusivi potendo in questo modo evitare spiacevoli sorprese; aprire la porta con la mano opposta è una semplice questione di praticità. Dopo aver aperto un fusuma si entra nella stanza facendosi scivolare al suo interno (sempre in ginocchio) quindi ci si gira richiudendola silenziosamente. Seguendo questi ritmi e mostrando considerazione per gli occupanti delle stanze vicine si può creare, nonostante la sua fragilità, un forte senso di fiducia reciproca. 

Oggigiorno il metodo in tre fasi per l'apertura del fusuma è solitamente riservato per le occasioni formali. 

Il saluto

Mentre si esegue il saluto in piedi (ritsu – rei) oppure da seduti (za – rei oppure oijrei) è necessario rammentare il precetto di non tenere le mani rigidamente attaccate ai fianchi né di farle penzolare; nel caso ci si trovi in piedi bisogna lasciarle scivolare con i palmi sul fianco delle cosce mentre in posizione seduta esse devono scorrere in avanti fino a toccare il pavimento.

Troppo spesso le arti marziali giapponesi divulgate in modo scorretto ed inadeguato hanno adottato una posa rigida e pseudo – militaristica laddove il movimento dovrebbe piuttosto manifestarsi in modo fluido: abbassando il busto senza pause, effettuando una piccola pausa ed infine riprendendo posizione alla stessa velocità; durante l’esecuzione dell’inchino la parte posteriore del collo dovrebbe trovarsi grossomodo sullo stesso piano della colonna vertebrale senza far ciondolare né inclinare la testa, la parte superiore del busto e la testa devono mantenere la medesima inclinazione. Alcuni neofiti del Budo potrebbero obiettare che durante la fase del saluto un praticante di arti marziali non dovrebbe mai perdere di vista il proprio avversario poiché questi potrebbe approfittarne per un attacco a sorpresa…è un insegnamento non particolarmente corretto... Il saluto reciproco deve unicamente avvenire ad una distanza conveniente: essere cioè abbastanza lontani dall’altra persona così da potersi inchinare correttamente senza cessare di distinguerla con la propria vista periferica; un buon modo per apprendere questa distanza è avvicinarsi ad una persona quel tanto che basta perché pur guardandola in viso si possano scorgere in basso i suoi piedi, da questa distanza bisogna essere in grado di inchinarsi tenendo la figura di chi sta di fronte interamente nella propria visuale periferica. L’inchino deve essere più profondo verso coloro che all’interno del Dojo possiedono una maggiore anzianità, nel caso bisogni salutare qualcuno con una notevole esperienza e molti anni di pratica (ad esempio un insegnante durante uno stage oppure un’alta personalità importante nell’Arte in questione) l’inchino dovrà essere più profondo di quello che viene normalmente rivolto ai propri senpai oppure al proprio abituale insegnante; nella maggior parte dei casi la correttezza del saluto è data però non tanto dall’angolazione dell’inchino bensì nello sostare nel suo punto più basso qualche istante in più della persona alla quale si sta porgendo il proprio rispetto.

Qui di seguito alcuni esempi di oijrei tratti dalla tradizione Ogasawara:

 

Alcuni Dojo adottano una particolare versione del saluto anticamente utilizzata in situazioni in cui si presumeva che la persona alla quale si porgeva il saluto poteva avere intenzioni ostili: dalla posizione di seiza scivola a terra per prima la mano sinistra seguita quindi dalla destra, si esegue l’inchino avvicinando la fronte a terra all’incirca al centro del triangolo formato dai pollici e dagli indici delle due mani sostando in quella posizione qualche istante; nel risalire si inverte l’ordine ritirando prima la mano destra e poi la sinistra. La motivazione di questa sequenza è presumibilmente marziale: assumendo di portare una spada nell’esecuzione di questo tipo di saluto si può notare come sia possibile mantenere la mano destra più a lungo disponibile per poter eventualmente sguainare l’arma (per la stessa motivazione la forma di etichetta in questo particolare tipo di saluto  richiede che il praticante si sieda appoggiando a terra prima il ginocchio sinistro rispetto il destro – sequenza contraria nello rialzarsi); il tenere le mani appoggiate sul pavimento abbastanza vicine al capo consente peraltro, qualora necessario, di poterle metterle in azione più velocemente. Durante il lunghissimo periodo delle guerre civili giapponesi il tradimento faceva letteralmente parte di uno stile di vita quindi persino le più piccole falle nella postura o nel comportamento potevano rappresentare un rischio, date le circostanze marziali in cui l’Ogasawara Ryu si sviluppò la conclusione è quindi ragionevole. In nessun caso ad ogni modo bisogna usare questo tipo di saluto per comunicare un atteggiamento aggressivo, rimuovendo la mentalità da reazione istantanea… difficilmente un mortale ninja nascosto in un angolo del Dojo balzerà fuori per attaccarci mentre stiamo eseguendo uno za – rei; in alcuni Dojo peraltro questo schema mano sinistra – mano destra viene evitato quando si esegue l’inchino al Kamiza, ad un’insegnante oppure tra compagni di allenamento, in quanto nessuno può essere considerato un ”nemico” neppure in via potenziale.

Il saluto a volte può anche essere dato a voce all’inizio ed alla fine dell’allenamento: si può udire quindi ordinare Shinzen – ni – rei (saluto al Kamidana o al fronte del Dojo), Sensei – ni – rei (saluto all’insegnante), Otagaini – ni – rei (saluto reciproco tra i praticanti). Ci sono poi altre evidenze per quanto concerne il saluto nelle quali ci si aspetta tuttavia che venga eseguito  dai membri del Dojo senza attendere alcun comando: entrando od uscendo dall’area di allenamento, nei confronti di un compagno di pratica, prima o dopo un esercizio praticato in coppia.

Sebbene le influenze dell’Ogasawara Ryu si fossero incise profondamente nell’ambiente samurai i suoi precetti non trovarono un seguito universale nella casta guerriera giapponese, ciò accadde ad esempio per diversi Ryu classici sviluppatisi al di fuori della sua sfera di influenza (preminente nelle grandi città) in quanto l’etichetta di queste Scuole periferiche si fondava su usanze locali venendo anche influenzata dall’ambiente circostante (i Ryu sviluppatisi nelle zone rurali possono talvolta essere identificati dalle modalità del loro saluto in quanto gli allenamenti potevano venire svolti all’aperto, conseguentemente l’inginocchiarsi formalmente sul terreno fangoso od accidentato poteva risultare inadeguato, preferendo a questo un tipo di saluto da posizione accovacciata). Altri Ryu utilizzavano una variante dell’elaborato chirichozu, il rituale del Sumo con il quale ancor oggi viene dato l’inizio degli incontri: accovacciandosi sugli avampiedi i sumotori si inginocchiano appoggiando le mani sul terreno oppure portandole alle ginocchia. In alcuni film a tema giapponese si possono altresì vedere inchini diversi: ad esempio con l’appoggio un solo ginocchio al suolo e toccando il terreno con una sola mano, tipico del saluto in armatura. Qualora le armi facciano parte integrante del rituale di saluto il porle a terra, di fronte, lateralmente, oppure tenerle in pugno influenzerà l’esecuzione e le modalità del saluto – il quale dipenderà e varierà dal tipo di Scuola oppure dal tipo di Arte.

Nel saluto da posizione seiza di tipo gaku – rei, oppure nuka – rei, l’inchino è talmente profondo che gli avambracci toccano terra assieme alle mani (Gaku e Nuka sono due termini che si riferiscono entrambi alla fronte la quale si avvicina al pavimento fino quasi a toccarlo); nel Budo moderno probabilmente l’unica disciplina in cui si può osservare questo tipo di saluto è lo Iaido, in cui talvolta viene utilizzato come saluto rituale alla propria spada. Nella maggioranza dei Dojo viene usualmente adottata una forma di saluto che richiede la posizione di seiza; i caratteri per utilizzati per scriverlo sono illuminanti: il primo significa “appropriato” ed il secondo “posizione seduta”, e non è una coincidenza che la parola possa essere scritta anche con un primo carattere differente significante “quieto”. Seiza pertanto può tradursi come: “sedersi appropriatamente” oppure “sedersi quietamente”. Dalla posizione eretta il ginocchio sinistro si posa a terra per primo in accordo con la tradizione Ogasawara (in altre forme di etichetta comprese quelle preferite da numerose scuole di chado – la cerimonia del tè –  ci si inginocchia facendo posando a terra contemporaneamente entrambe le ginocchia, con il sinistro che tocca terra appena prima del destro; per altre tradizioni il saluto inizia in piedi, con le ginocchia unite che scendono contemporaneamente, in altre ancor prima uno dei piedi viene arretrato leggermente), non appena il ginocchio destro tocca terra i glutei si appoggiano sui talloni con le dita dei piedi così completamente piegate in avanti, questa postura è detta kiza ed è quella in cui nell’epoca antica i guerrieri usavano più spesso per sedersi formalmente. Per acquisire seiza il kiza rappresenta un passaggio intermedio. Dopo aver assunto kiza le dita dei piedi vengono raddrizzate e distese sul pavimento assestandosi su di esse così che, sedendo, entrambi i talloni si trovino sotto i glutei. Bisogna praticare sino a quando ognuna delle fasi non sfuma morbidamente e coordinatamente nella successiva; nella tradizione Ogasawara per perfezionare la fluidità e l’armonia di questo movimento veniva posto un leggero foglio di carta appena di fronte al luogo in cui il ginocchio avrebbe dovuto toccare terra, venendo poi richiesto di inginocchiarsi così leggermente e quietamente da non provocare spostamenti d’aria tali da farlo muovere. Una volta seduti la posizione necessiterà ovviamente di qualche leggero aggiustamento: non bisogna accasciarsi né stare esageratamente dritti in modo da avere l’addome od il mento protesi in avanti; i metodi per assumere una postura corretti sono molti: ad esempio pensare ad esempio che sulla sommità del capo vi sia un occhiello attraversato da una corda che tira verso il soffitto, oppure immaginare che pavimento e soffitto spingano uno verso l’altro e che vengano tenuti divisi unicamente dalla propria postura grazie all’estensione naturale della spina dorsale, o altri ancora. Il mento deve essere tenuto arretrato e le braccia leggere ed aderenti ai fianchi con le mani distese lungo le cosce (bisognerebbe evitare di sedere con i pugni chiusi appoggiati sulle cosce anche se ciò dà apparentemente un’immagine molto “macho - marziale”). Le spalle vanno tenute rilassate eliminandone ogni rigidità immaginando di averle solamente “appese” alla spina dorsale (così facendo si potrà notare che la schiena tenderà a raddrizzarsi senza forzature) ponendo al contempo la concentrazione sull’allineamento testa – spalle; gli errori più comuni infatti nell’Ojirei consistono nel rompere l’allineamento tra la schiena ed il collo e nel sollevare i glutei dai talloni durante l’inchino. Gli uomini pongono le ginocchia distanti tra loro quanto basta perché tra di esse passino i due pugni affiancati mentre nelle donne vengono sono tenute un po’ più vicine tra loro, anche questo è un precetto del metodo Ogasawara in quanto una donna che sieda con le ginocchia troppo divaricate risulterebbe “inappropriata” nel contesto delle arti tradizionali giapponesi – allo stesso tempo apparirebbe “anomalo” un uomo che si sedesse con le ginocchia troppo accostate. Esiste ovviamente anche un vocabolo giapponese che indica specificatamente la sensazione delle gambe che si addormentano durante la posizione di seiza: Shibireru.

Da seiza bisogna poi risalire … Passare nuovamente per kiza portando successivamente il ginocchio destro avanti in modo tale che l’avampiede rimanga poggiato a terra con le dita ben puntate vicino al fondo del polpaccio sinistro, quindi rialzarsi sulla propria perpendicolare; l’Ogasawara Ryu prescrive la sua esecuzione “come una colonna di fumo che si leva”. Un buon modo per interiorizzare questo movimento è quello di eseguirlo fronte ad un muro ad una distanza da questo di circa trenta centimetri, senza toccarlo durante la risalita né con il ginocchio né con qualsiasi altra parte del corpo. Acquisire abilità nello scendere e nello rialzarsi con grazia ed equilibrio non è meno impegnativo dello stare seduti e dall’inchinarsi correttamente, principianti ed esperti devono però guardarsi dall’uso esagerato ed inappropriato dell’inchino in quanto questo dovrebbe essere un segno di rispetto genuino senza la sua trasformazione in vuota esibizione od in un rimbalzo continuo per qualsivoglia disparato motivo. Nel Dojo si deve essere consapevoli che Ukerei (“ricevere il saluto”) e Okuri rei (“concedere il saluto”) sono due ruote dello stesso assale, l’allievo è grato dell’insegnamento ricevuto e l’insegnante è ugualmente grato verso coloro che gli stanno attorno e si dedicano alla continuazione dell’Arte; la struttura gerarchica è vitale per il Dojo ma se questa viene enfatizzata artificiosamente con l’unico scopo di rammentare continuamente agli allievi quali siano i loro doveri ignorando i corrispettivi doveri dell’insegnante i risultati sono destinati ad essere incoerenti rispetto i valori del Budo.

Il significato che si potrebbe definire “religioso” dell’Ojirei è paragonabile al comportamento appropriato che è necessario mantenere in un luogo di culto, ovverosia il dimostrare rispetto con la propria postura e la propria condotta non significa necessariamente appartenere alla fede praticata in quel particolare luogo ma rappresenta solamente un corretto contegno ed atteggiamento; inchinarsi ad un saltuario Shinto oppure in un tempio Buddista non significa necessariamente che l’inchino sia in sé un atto religioso.

L’inchino è uno dei modi attraverso il quale il Budo mantiene il contatto con il suo passato senza di questi non sarebbe più Budo, imparare ad eseguire un inchino correttamente è un passo essenziale nel percorrere la Via.